Il quadernino

“Devo prenotare un prelievo a domicilio per mia moglie” disse l’uomo di circa ottant’anni, stringendo l’impegnativa del medico di base in una mano rugosa e leggermente tremolante.

L’impiegata gli sorrise, meccanicamente, e lui sorrise a lei ma il suo sorriso non aveva nulla di meccanico. “Come fa a sorridere così – pensò l’impiegata – è stato in attesa  almeno un’ora dal suo medico di base, poi qui a fare altre due ore di fila, e non ha ancora un prelievo a domicilio”. Guardò le disponibilità a video: “Per il primo appuntamento deve aspettare tre settimane” gli disse.

“Signorina – l’impiegata aveva cinquant’anni e gli ottantenni erano gli unici a chiamarla signorina – andrà bene lo stesso” e sorrise di nuovo. Tolse dalla tasca della giacca una matita e un quadernino piccolo come un pacchetto di sigarette. Lo aprì. Era a quadretti con le pagine un po’ ingiallite. Lo aprì ben bene oltre la metà, stirandolo con tutte e due le mani – nella sinistra aveva una fede nuziale sottilissima – fino alla prima pagina libera. Poi con la matita, che era appuntita, scrisse il giorno dell’appuntamento e, a fianco, PRELIEVO A DOMICILIO.

“Scrivo qui tutti gli appuntamenti di mia moglie – spiegò all’impiegata dagli occhi sgranati – lo so che adesso lei mi riempirà di fogli ma quelli li appendiamo nella lavagnetta in cucina e questo invece lo porto sempre nel borsello”.

“E sua moglie è… ha bisogno… ” l’impiegata non concluse le domande. Aveva, intanto, preso i fogli dalla stampante. Puntò i fogli meccanicamente, come sorrideva, e senza guardare, per cui li unì storti, con gli angoli che puntavano in direzioni diverse.

“Ah, mia moglie è malata da tanto signorina. Era in cucina poi è caduta. E le dispiace, sa, darmi disturbo, mi dice sempre: scusa, scusa, e anche grazie, grazie. Cosa vuol dire, le rispondo, ci siamo sposati, sei mia moglie”.

Prese i fogli che l’impiegata gli porgeva. Gli uscì un sospiro mentre li ripiegava per infilarli nel borsello.

“È mia moglie – ridisse – cinquant’anni insieme, lo sa? Siamo stati molto fortunati, tutta una vita insieme. C’è gente che non lo sa cosa vuol dire. Allora arrivederci signorina, passi una bella giornata” e le regalò di nuovo quel sorriso allegro.

L’impiegata lo guardò allontanarsi, andatura un po’ dondolante. Un sorriso così, come farà, pensò ancora, premendo il bottone rosso per chiamare un altro numero. Il bottone rosso, che era lucido per il premere continuo, aveva il cavo aggrovigliato. L’impiegata lo distese con entrambe le mani, lo tirò e girò fino a quando riuscì a sgrovigliarlo. Osservò la postazione: le matite erano mozziconi senza punta e almeno la metà delle Biro non funzionava. Tra una prenotazione e l’altra ripulì la scrivania, aggiunse alla stampante la carta che rischiava di finire, temperò le matite, buttò le Biro inutili. Si costrinse a puntare in ordine i fogli degli appuntamenti e cercare l’orario e il giorno migliori nel calendario sullo schermo. Questo fino alle due. Aveva iniziato alle sette e mezza, spinto quasi cento volte il bottone rosso. Alle due arrivò l’ultimo utente, che era una donna. L’impiegata le fece scegliere giorno e ora della visita, le consegnò i fogli della prenotazione. Ma la donna, invece di dire grazie-buongiorno e andarsene subito, le chiese: “E adesso mi dice come fa ad avere un sorriso così, dopo tutta una mattina dietro lo sportello?”.

L’anziano aveva camminato piano verso casa, attento a dove metteva i piedi, per non scivolare. E dire che da giovane scalava i monti! Come quella notte d’inverno che era uscito dalla sala da ballo a mezzanotte passata e aveva trovato la neve. Si era perso per i campi, attraversandoli con ai piedi le scarpe buone di cuoio. La mamma, quando lo aveva visto arrivare sfinito al mattino, non si era preoccupata di lui quanto delle scarpe. Che febbrone gli era venuto! Comunque oggi era qui e aveva  ottantaquattro anni, dunque non era andata poi così male. Com’è che gli era venuto in mente questo fatto? Ah sì, per via dell’impiegata al Cup. Somigliava tanto alla ragazza che aveva ballato con lui mentre fuori cadeva la neve. Aprì la porta dell’appartamento, gli arrivò la voce della moglie: ohi, sei tu? Lo salutava sempre così, era come se gli dicesse ciao, bentornato. “Sono io” rispose entrando nella stanza. La rimirò ben bene: ne erano passati di anni e certo era cambiata da quella notte, ma nemmeno così tanto. Anche se non ballava più, e in quel momento lo guardava seduta nella poltrona gialla presa apposta per lei.

Appese sulla lavagnetta i fogli della prenotazione a domicilio. “Al Cup c’era un’impiegata che ti somigliava. Le ho detto che siamo sposati da cinquant’anni, che siamo fortunati”. Lei ci pensò su – da un po’ di tempo non rispondeva subito, non rideva alle battute. Prendeva tutto molto sul serio – e dopo un minuto buono rispose che sì, era vero, erano stati proprio benedetti dal Cielo. Il che non voleva dire esattamente la stessa cosa anche se la sostanza era quella.

L’impiegata abbassò la tendina sul vetro, dopo aver salutato la donna che le aveva chiesto: “Come fa ad avere un sorriso così, dopo tutta una mattina dietro lo sportello?”. Ma guarda, si disse cercando il badge in borsa preparandosi ad uscire, la stessa domanda che ho avuto io vedendo il signore con il quadernino.

Comunque aveva risposto sincera: “A dire il vero non lo so”. In effetti non aveva fatto niente di speciale.

16 pensieri su “Il quadernino”

  1. Ogni volta che leggo un nuovo link corri subito a leggerlo, i tuoi racconti sono pieni di amore e talvolta tristezza nel raccontare la vita di quell’impiegata, e finisce sempre per coinvolgermi, quasi fino alle lacrime…..aspetto con ansia il prossimo incontro….

  2. Mi ha veramente emozionato. Bello e sotteso da un pensiero di felicità vissuta i cui frutti si raccolgono anche quando questa diminuisce. A.S.

  3. Quanta dolcezza, tanta davvero! Mentre rileggo scopro piccoli particolari nascosti ed ogni volta mi pare di essere lì in mezzo ad osservare questi personaggi che prendono vita.

  4. Colgo la bellezza della vita che sprizza fuori dai tuoi personaggi, uno spaccato di quotidianità che nasce con un sorriso ad ogni età anche se ‘in effetti non aveva fatto niente di speciale’
    Il potere di un sorriso!!
    Grazie Daniela… invidio la tua capacità così immediata di scrittura.
    Grande grandissimo potere della scrittura!

  5. Molto bello….. riesco proprio ad immaginare il momento…. tutti dettagli che solo chi li ha vissuti riesce a cogliere…. brava!!!

  6. Un racconto delicato e gentile… Due aggettivi in grado di rendere speciali gli attimi della vita e le persone che contiene. Grazie

  7. Grazie Daniela…molto bello e commovente, mi ha fatto venire in mente certi racconti di Cechov di una umanità apparentemente banale ma profondissimi. Tutte le volte che la fatica di vivere mi schiaccerà verrò qui a leggere questi racconti e a cercare il sorriso dei tuoi personaggi.

  8. …ho riletto questo racconto…
    Quel signore anziano che torna a casa da sua moglie ammalata..
    Il mio cuore ha incominciato a battere forte assieme alle lacrime ….
    L importanza del significato ” anziano”..” ammalata”….” amore “.
    Ho condiviso per un attimo tutto l’amore di quest’uomo per la propria donna nonostante non avesse più né la sua gioventù né l’originaria bellezza..
    Un attimo di puro raccoglimento

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