L’eritrea

La giovane eritrea era arrivata con in braccio la neonata addormentata appoggiata tra la spalla e il mento, avvolta in una copertina rosa fatta all’uncinetto. Aveva preso posto nella sala d’attesa tra paki, bangladesi, magrebini e qualche raro, anziano, italiano. Dopo oltre un’ora, finalmente, sul tabellone era apparso il numero del biglietto che teneva in mano. Si era diretta allo sportello numero quattro (gli sportelli erano dieci, ma sei avevano la tendina chiusa, da qui la fila di un’ora e mezza).

La bambina continuava a dormire. Avevano lo stesso incarnato: cioccolato Ferrero, avresti detto, quello dei Pocket Coffee o dei Mon Chéri. Dormiva concentrata come solo i neonati sanno fare: hanno appena imparato a respirare e imparare anche a dormire gli richiede, evidentemente, grande intensità. Ci riescono prendendo un’aria completamente assorta, sono come assorbiti da questo. La mamma, invece, la concentrazione la dedicava all’autodichiarazione da compilare in fronte e retro e ottenere così il pediatra per la figlia. Per leggere meglio spalancava gli occhi che erano in realtà piccoli nel volto tondo come una mela. Gli zigomi alti e distanti la identificavano come eritrea senza bisogno di cercare la nazionalità sul permesso di soggiorno. Aveva firmato quel che c’era da firmare e ottenuto il tesserino con gli orari del medico.

Il giorno dopo era tornata con in braccio la bambina, sempre dentro la copertina all’uncinetto rosa. Aveva attraversato il salone fino allo sportello numero quattro, e atteso che l’utente di turno se ne andasse. Sotto gli occhi perplessi dell’impiegata aveva estratto dalla borsa un involto di teli, aprendone uno alla volta facendo apparire la più bella focaccia eritrea che si fosse mai vista al Cup: tonda come il suo viso ma invece di essere color del cioccolato Ferrero era color oro. L’aveva sospinta verso  l’impiegata dicendo, un po’ a gesti un po’ a parole: è buona, è per te. L’avevano assaggiata insieme. L’impiegata aveva chiesto all’eritrea se fosse andata dal pediatra: non ci era andata. La sua bambina stava bene e non c’era bisogno. Si erano salutate con tanti sorrisi.

“L’avrà fatto per avere qualcosa in cambio” aveva commentato la collega dallo sportello a fianco.

L’impiegata era contenta. Anche mentre timbrava e usciva sotto la pioggia continuava ad essere contenta, anche alle nove di sera, mentre finiva di lavare la ciotola dove aveva impastato la ciambella. Aveva spento il forno e lasciato il dolce a raffreddarsi. Il giorno dopo i figli si erano alzati convinti di fare colazione con la ciambella (si erano svegliati con il profumo che aveva lasciato mentre cuoceva). Perplessi, avevano trovato la focaccia.

Quando la collega dello sportello vide la ciambella non chiese “Cosa vorrà in cambio” ma spalancò gli occhi come l’eritrea mentre leggeva l’autocertificazione e corse a prendere il coltello usato il giorno prima.

Ne tagliarono due fette da gustare piano, dietro lo sportello ancora chiuso, annuendo e facendo mmmh con la bocca piena. Poi, ripulito il piano di lavoro dalle briciole, presero un caffè alla macchinetta.

“Domani ne porto una io” disse girando il cucchiaino di plastica nel bicchierino. “Non c’è bisogno. Non devi ricambiare”. “Non lo faccio per ricambiare. È bello iniziare così la mattina. Anche ieri è stato bello con l’eritrea.”

Inaugurarono così la serie delle ciambelle dietro lo sportello. Una sera alla settimana, un forno a turno, riceveva l’impasto ottenuto mescolando uova, zucchero, farina con l’aggiunta di frutta fresca o cioccolato a seconda di dieta in corso oppure no. Ciambella dopo ciambella diventarono più amiche e quando ricapitò l’eritrea (gli utenti del Cup ritornano sempre) si accordarono con lei per un caffè insieme.

La foto che si sono scattate le ritrae in un pomeriggio di primavera, con la bambina in perfetta salute che le guarda dal passeggino mentre gioca con la copertina rosa.

17 pensieri su “L’eritrea”

    1. Cara Dany in realtà è tutto vero fuorché il caffè che non siamo ancora riuscite a prendere… ma abbiamo conservato il telefono e presto lo faremo!

    1. Bello e positivo, speranza e ottimismo. Testo efficace e coinvolgente …viene voglia di assaggiare una di quelle torte e aspettare gli stessi esiti felici.

  1. Cara Daniela,
    leggerti è un soffio che spolvera il cuore e la mente.
    I tuoi racconti scuotono e consolano. Parlano un linguaggio chiaro e scorrevole che crea sceneggiature emozionanti.
    Ogni volta un cortometraggio i cui personaggi, così ben caratterizzati,
    sono riconoscibili in noi o accanto a noi.
    Attendo i prossimi😘

  2. Cara Daniela questa mattina con il tuo racconto ho iniziato bene la giornata, con dolcezza, come se avessi mangiato anch’io la focaccia! Grazie!

    1. Che bellissima cosa hai scritto! Sono davvero contenta quando un racconto fa iniziare bene la giornata… per questo il blog si chiama Un piede giù dal letto, per cominciare ogni mattina. Grazie!

  3. Ho avuto il tempo di leggerla solo ora. Ti ringrazio per averla scritta per me. Mi ha lasciato nel cuore il sapore dolce della ciambella. Ti voglio bene

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