Il mio babbo faceva l’orologiaio

Il mio babbo aveva la bottega nel mezzo del paese. Nel mezzo, non al centro. Un centro vuole lo sviluppo delle case a partire dalla piazza, o dalla chiesa, mentre le case di Fognano, al tempo, occupavano solo un lato della stretta Via Firenze, in faccia al Convento Emiliani che ne occupava l’altro lato. Case e convento ancor oggi formano una doppia muraglia, tipo il Mar Rosso aperto in due da Mosè con al di qua e al di là, invece dell’acqua, pareti di mattoni trattenuti dall’Onnipotente. I palazzi erano stati costruiti uno attaccato all’altro, a tre o quattro piani, più alti del Convento, così da fronteggiarlo tutto, prolungandosi oltre il suo inizio e la sua fine dove si disperdevano in casette singole, sempre più rade, fino alla campagna. Il Mar Rosso si richiudeva con vigneti e campi di grano e restava solo la scia della Via Firenze che ondeggiava fino alla vicinissima Toscana.

La chiesa delle suore domenicane era stata edificata nel mezzo del Convento e poiché il mezzo del Convento coincideva con il mezzo del paese ecco che il negozio di babbo aveva l’ingresso proprio di fronte a quello della chiesa delle suore. Ogni mattina sollevava due metri di saracinesca dando tutta la luce possibile – non molta con la muraglia domenicana di fronte – al negozio, profondo due metri e mezzo, largo tre. La saracinesca scopriva una porta a vetri larga novanta centimetri e al fianco un metro di vetrina con quattro ripiani, sempre in vetro, sui quali erano adagiati preziosi d’oro – orecchini, ciondoli, catenine, anelli – e d’argento – cornici – poi macchine fotografiche e orologi dai cinturini in cuoio.

Entrando c’era giusto lo spazio per fare un altro passo: in avanti verso il bancone dove stendeva i rotoli in velluto che mantenevano ordinati e lucenti gli oggetti; a sinistra verso il banco da lavoro dove inseriva negli anelli le pietruzze che con gli urti schizzavano via e dove, soprattutto, aggiustava gli orologi. Metteva all’occhio destro un monocolo e usava le stesse pinze dei chirurghi per smontare e rimontare gli ingranaggi minuscoli.

Per tutta la vita, alla domanda che lavoro fa, che lavoro faceva, risponderà: faccio l’orologiaio, facevo l’orologiaio.

Era anche ‘il’ fotografo dato che, all’epoca in un paese di milleseicento abitanti, chi si intendeva di macchine fotografiche abbastanza da venderle se ne intendeva sufficientemente da usarle. Nei cinquant’anni di attività fotografò battesimi, Prime Comunioni, Cresime, matrimoni, processioni per la festa del Corpus Domini, sfilate di carri allegorici a Carnevale, recite nel teatro del convento a Natale.

Durante la settimana in negozio, dietro il banco. La domenica fuori, dietro la macchina fotografica: tornava a casa a metà pomeriggio, contento e stanco, rosso in viso per i brindisi agli sposi.

Babbo non si è mai definito orefice perché non considerava un vero mestiere quello del commerciante, né fotografo che nel sentire comune risultava frivolo, mentre orologiaio gli era congeniale, gli piaceva essere un artigiano, conoscere un mestiere. E ne era geloso. Gli chiedevo babbo fammi vedere com’è che metti la rotellina nella cassa dell’orologio, com’è che cambi il cinturino, posso prendere la pinzetta, faccio io? Ma lui, niente, nemmeno a mio fratello ha mai insegnato. Era il suo segreto.

Quel mestiere non esiste più. Qualche anno fa (aveva già venduto il negozio), nella sala d’attesa del medico di base del paese, si accorse che gli orologi non usavano. Qualcuno chiese: “Che ore sono?”, tutti guardarono il telefonino e risposero: “Le 9 e 59”. Babbo ebbe la conferma che non si stavano più vendendo orologi e che conoscere come ripararli non serviva più, ma invece di sentirsi rimpiazzato e dunque invisibile spostò il polsino della camicia, scoprì il quadrante bianco, rotondo, adagiato nella cassa dorata e lesse ad alta voce: “Le dieci” che è una misura ragionevole per chi si trova nella sala d’attesa del medico di paese e non in stazione alla partenza del treno.

Le due parole riempirono l’aria stagnante, fu come se qualcuno avesse tirato le tende scure e pesanti che chiudevano la finestra per poi spalancarla così da fare entrare aria, luce e far rivedere a tutti, al di là del davanzale, il negozio, le pinzette, gli ingranaggi, e poi le macchine fotografiche e gli anelli d’oro e si ridestarono di colpo, è Pietro, l’orologiaio, sono le dieci, siamo noi, siamo qui!

D’un tratto non furono solo ammalati che domandavano l’ora per spezzare l’attesa, ma erano sposi che avevano festeggiato le nozze d’oro e portavano all’anulare la fede comprata da lui, e tutti, proprio tutti, avevano in casa almeno una foto scattata da Pietro, la recita del figlio sul palco del teatro in convento, o la Prima Comunione o la Cresima nella chiesa del paese, o la foto di gruppo sul prato spelacchiato di fronte alla scuola. E poi quel figlio era cresciuto e un giorno era arrivato nel mezzo del paese ed era entrato a scegliere l’anellino per la fidanzata e più avanti anche le fedi e più avanti ancora a chiedere di fare le foto al battesimo, alla recita dell’asilo, alla Comunione, alla Cresima e poi  il regalo per la laurea confidando a babbo: “Tra poco verrà lui a cercare l’anellino per la fidanzata”, e tutto riprendeva da capo con la bellezza di sempre. Pietro vi ricordate di quando mio nipote venne con la morosa a provare le fedi?

Il medico dovette uscire dall’ambulatorio e dire “Avanti, avanti” perché nessuno si era accorto che il paziente precedente era uscito, se ne era andato, e ad aspettare era il dottore.

Insomma, non ci sarà più bisogno di orologi e orologiai ma ci sarà sempre bisogno di qualcuno che ci ricordi chi siamo. Babbo continua a ricordarci che c’è un adesso, un presente, dove non sei il mestiere che fai, utile o inutile che sia. Non sono nemmeno le 9 e 59 e non mi trovo in stazione alla partenza di un treno: è domenica pomeriggio e resto un po’ con lui in questo tempo che ci è donato.

21 pensieri su “Il mio babbo faceva l’orologiaio”

  1. Un pensiero, un ricordo … un’emozione donata dal signor orologiaio.
    Grazie signor Pietro !
    Grazie Daniela, la tua compagnia è il regalo più grande che tu possa regalare a lui !
    Anna

  2. Conosco bene Pietro perché sono cresciuta in questo paese e lui era l orologiaio. Una descrizione bellissima la tua, ben fatta dove tutto ciò che hai scritto è vero. Dedicare la tua presenza a tuo babbo è il regalo piu bello che tu gli possa fare.

  3. Pietro, l orologiaio, una grande persona, I ricordi si riaccendono, per lui grazie, a te Daniela che riesci così bene far rivivere un tempo oramai lontano. Spesso anche io mi trovo a ricordare la mia infanzia con le allora.. nonne I personaggi del paese,. So che ti stai prendendo cura di tuo babbo, e la tua testimonianza fa trapelare l amore che hai!! Buona vita!

  4. Grazie Dany! È sempre bello leggere pezzi di vita di tutti noi….perché noi, degli anni 70
    Siamo stati gli ultimi a mettere l’orologio al polso ed a ricaricalo con la ruzzolina! Che tempi…….
    Grazie anche perché , per un caso, ai scritto di I pezzi di storia personale, del mio orologiaio del mio quartiere, scomparso da poco….come la sua bella “bottega”……..
    Bacio Dany! E grazie!

  5. Bellissimo racconto …quanti ricordi! Mi ricordo ancora che entrando nella bottega di Marela si sentiva un odore particolare …buono …era il profumo degli orologio (io lo chiamavo così) che nostalgia ….

  6. Era la bottega più bella di Fognano, io ho sempre amato gli orologi e mi piacciono ancora tantissimo. Quello più importante della mia vita è un orologio degli anni 70 che ancora custodisco senza portarlo.
    Grazie per questi ricordi e un pensiero affettuoso al tuo babbo

  7. Il tempo che passa… E il tuo babbo sempre li ad aggiustarlo, fiero e con quel sorriso improvviso che lo faceva assomigliare ad un bambino

  8. Bellissimo racconto, ho da poco acquistato una casetta nelle campagne di Fognano, paese che trovo unico, chissà se tra qualche vecchia foto avete la foto della mia casetta, mi piacerebbe invitarvi per un caffè e sentire chiacchiere della Fognano di un tempo,
    saluti da via Campiume
    Riccardo

  9. I tuoi racconti mi ricordano mio babbo e le tante cose che mi ricordo di lui ma purtroppo le tante cose che non ho chiesto dando per scontato che c era tempo..

Rispondi a Daniela Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.