Il tempo della marmellata preferita

Era successo il giorno in cui suo padre aveva compiuto ottantaquattro anni. Quel giorno le aveva consegnato un mazzo di chiavi di casa. “Voglio che le tenga tu. Non si può mai sapere”. Per dargliele l’aveva presa in disparte mentre i nipoti sparecchiavano il pranzo di compleanno dalla tavola. Lei aveva avuto una stretta alla gola: “Babbo cosa dici? Perché?”. “Perché sono vecchio. Non ho voluto rinnovare la patente, mi sono accorto che i riflessi non sono più quelli di una volta. L’auto la tengo se avete bisogno voi o loro”. Disse ‘loro’ accennando al soffitto: sopra, nella bifamigliare, abitava l’altro figlio con la nuora e la nipotina. “Non voglio più guidare, non voglio fare un incidente”.

Sì, pensava la figlia mentre andava a fare la spesa, se ne era accorto lui prima di tutti. C’era stata la consegna delle chiavi quel giorno, un gesto clamoroso perché mai aveva voluto lasciargliele, nemmeno quando era una ragazza ed abitavano insieme, nemmeno quando la mamma era andata in cielo quattro anni prima. Dopo qualche mese le aveva affidato un buono postale: “Tienilo tu. Io mi dimentico dove lo metto”. Lei aveva chiamato il fratello: “Ha detto che si dimentica, babbo non si è dimenticato mai niente”. “Babbo invecchia e lo sa. Tu no”.

Si fermò al semaforo. Sospirò ricordando la prima volta che era caduto. Aveva detto che il guinzaglio del cane gli si era aggrovigliato tra le gambe, e poteva essere. La seconda volta era successo in centro al paese. Le aveva telefonato la vicina di casa.
Il semaforo diventò verde. Avanzando nel traffico scosse la testa: nemmeno lì aveva capito. Aveva, invece, chiamato la dottoressa che aveva pensato a un problema muscolare e prescritto analisi. Le analisi andavano bene. Non era mancanza di potassio. Era un declino che andava avanti e solo lui se ne accorgeva. Era sempre stato un uomo intelligente. Per questo le aveva dato le chiavi di casa, aveva rinunciato a guidare mentre ancora poteva.

Iniziò a piovere, azionò i tergicristalli e il ronzio riempì l’abitacolo sommandosi al ticchettare delle gocce. Ripassò a mente i pranzi domenicali, quando entrava nell’appartamento insieme ai figli portando il brodo, i cappelletti fatti il giorno prima, l’arrosto, le patate al forno, e sedevano tutti al tavolo della sala da pranzo dove suo padre stappava una bottiglia di rosso. La prima domenica di quell’anno, però, non si era alzato dal divano. Non aveva voluto pranzare. Aveva chiuso gli occhi e si era appisolato.

Parcheggiò l’auto, scese veloce e per evitare la pioggia entrò nel supermercato senza prendere il carrello. Trovò i biscotti richiesti dalla figlia, i cornflakes per il figlio, la marmellata preferita dal padre. Era passato un anno da allora e quell’uomo che lei ricordava instancabile adesso dormiva molto, a lungo. La realtà era diventata complicata per lui. Aveva smesso di parlare di cosa aveva fatto e di cosa avrebbe dovuto fare. Aveva smesso di ricordare e progettare. Era diverso. Non più solo il padre. Era anche altro. E lei e il fratello non erano più solo figli. Erano anche altro, pure loro.

Arrivò alla cassa, pagò e uscì infilandosi ancora più velocemente in auto, bagnandosi perché nel frattempo la pioggia si era infittita. Guidò fino a casa, entrò nell’appartamento dove il padre sonnecchiava sulla poltrona ma percepì la sua presenza e aprì gli occhi.

Il padre la guardò entrare. Chi era quella donna? Assomigliava tanto a sua moglie da giovane. Ebbe un lampo di certezza: non poteva essere sua moglie, era morta. Gli venne alla memoria la chiesa piena di gente e la bara al centro. Ma poi quell’immagine sgusciò via, rapida come era risalita, si rintanò dietro alla sua mente, lasciandolo di nuovo a dover decifrare dove si trovava e perché e chi fosse la persona che avanzava verso di lui con un barattolo in mano. La riconobbe: era sua moglie, bella con i capelli scuri lunghi fin sotto le spalle. “Edda! Cos’è?” “Ti ho portato la tua marmellata preferita. Adesso te la faccio assaggiare”. Sorrise alla sua Edda che era giovane come lui. “Come siamo fortunati – le disse – a essere insieme”. La guardò annuire contenta e andare in un’altra stanza. Non ricordava che ci fosse un’altra stanza, laggiù.

La figlia tornò dalla cucina con un cucchiaino di marmellata e lo trovò di nuovo addormentato. Lo ascoltò russare leggermente, steso sulla poltrona. Sì, suo padre era diverso. Ma non era scomparso. C’era ancora in un modo nuovo e misterioso. Non era più tempo dei discorsi, dei ricordi e dei progetti. C’era stato quel tempo e lei lo aveva assorbito tutto. Adesso, per lui, c’era solo presente e graziaddio era un presente dove abitava con la sua Edda. Sì, suo padre le aveva dato tutto e adesso, di nuovo, le stava dando tutto quello che aveva: il suo presente.

Tornò in cucina e iniziò a preparare la frolla per i biscotti. Quelli piacevano a tutti.

13 pensieri su “Il tempo della marmellata preferita”

  1. Buongiorno e grazie come sempre. Come è strano e a volte difficile accudire i genitori anziani e malati. Accompagnarli in quel pezzetto di strada è ciò che il Buon Dio ci chiede. E ci dona la coscienza di essere nel posto giusto e la contentezza di esserci .

  2. Penso che sia l’unico modo, quello giusto, di vivere accanto ai nostri cari anziani genitori! Io non ci sono ancora arrivata a quel momento…ci penso spesso…vedo i piccoli cambiamenti di mio padre e di mia madre…penso che non essere più solo figli sia la strada giusta, per accompagnarli avanti! Grazie Dani!

  3. Un racconto di una vita piena anche se adesso non è il momento dei progetti propri. È il momento dove il progetto di Un Altro scandisce ogni secondo e il mistero della vita non finisce mai di stupire.

  4. Bello, leggerezza ed eleganza dello scrivere, semplice e chiaro, di sentimenti , stati d’animo, amore e nostalgia, sempre però rivolto ad una visione positiva del vivere.

  5. Cara Daniela,
    dolce e profonda è l’emozione e che sai evocare con la forza delle tue parole.
    Mi immedesimo, mi riconosco, entro in risonanza…grazie al tuo talento.

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