Pietro ci maritiamo, ce lo fate il servizio fotografico?

È sempre più chiaro perché il mio babbo preferisse definirsi orologiaio piuttosto che fotografo, l’altro mestiere in cui era altrettanto capace. Perché lui per primo misurava il tempo, lo rispettava. Non restava colto di sorpresa dal suo scorrere, le lancette dei suoi orologi non balzavano in avanti all’improvviso – e, se ci provavano, venivano subito corrette – i giorni non saltavano fuori dal calendario inaspettati: anche le domeniche a casa nostra entravano in ordine, decise in bottega, quando la porta a vetri si apriva spinta dal giovane che faceva entrare la fidanzata, e babbo sapeva già cosa avrebbero chiesto. Pietro ci maritiamo, ce lo fate il servizio fotografico?

Si organizzava con scrupolo, preparando due macchine fotografiche (una poteva incepparsi), facendo fronte agli imprevisti con ingegno e buon senso, come quella volta che la coppia andò a sposarsi senza avvisare il prete, dunque senza i documenti. Però avevano scelto le fedi, prenotato il ristorante, ordinato le bomboniere, consegnato le partecipazioni agli invitati, affittato l’auto. Ed eccoli arrivare alla chiesa dove babbo li aspetta dentro il vestito buono, la macchina fotografica tra le mani, le tasche zeppe di rullini Kodak e Polaroid. Ma il sacerdote non è ai piedi dell’altare ad aspettarli, sbuca invece dalla sagrestia con l’abito nero e il colletto bianco, resta sbigottito davanti alla chiesa piena di gente e vedendo i due capisce e urla: “Credete che basti venire così? Non avete preparato le carte!”

“Ma padre, le fedi…”, balbettano smarriti.

“Inutili!”

“Ma il ristorante, gli invitati…” elencano sempre più disperati.

“Non contano!”

“Il fotografo…”

Babbo non si scompone anche se – immagino – smette di sorridere, aggrotta la fronte e bisbiglia opporcaboia. È già lì, a lato dell’altare, fa un passo, avvicina i tre mettendosi di spalle alla navata, tenendoli tra lui e il tabernacolo. Sottovoce espone una via d’uscita.

Il prete doveva fare quel che avrebbe fatto comunque la domenica mattina: dire Messa.

E il giovane e la giovane avrebbero dovuto fare quel che facevano ogni domenica: prendere Messa. Vicini, nella prima panca. Unica novità si sarebbero scambiati gli anelli. Avrebbero fatto la Comunione e lui avrebbe fotografato tutto, come erano d’accordo. “Poi tornate dal don e preparate le carte così un altro giorno vi sposa per davvero. L’album lo preparo dopo”. Non avrebbe mai consegnato una foto falsa: l’onestà era per lui come il colore degli occhi. L’altro suo tratto somatico era il rispetto per l’umanità distratta che incontrava: ci raccontò questo episodio solo qualche anno fa e senza dirci i nomi dei protagonisti. Concludendo meravigliato: “Si sono voluti un gran bene”.

Fu mio fratello, nascendo, a farci diventare fognanesi. Fino all’arrivo di Stefano, nel 1978, casa nostra era nell’altro paese tagliato in due da Via Firenze, Castellina, distante dalla bottega tre chilometri. Babbo li percorreva a piedi, in ogni stagione. Un metro e ottantotto, largo di spalle, asciutto, copriva in poco tempo le distanze, qualunque distanza. Gli piaceva camminare, provava gusto a usare i muscoli lunghi e aguzzi: ancora oggi i suoi polpacci sembrano scalpellati nella pietra. Non avendo più i tre chilometri tra casa e bottega concentrava le camminate nelle domeniche lasciate libere dai servizi fotografici, inerpicandosi sull’Appennino con la stessa tenacia usata per arrivare al compromesso con il prete (tanto che il  Cai, dovendo mappare i sentieri, venne a cercarlo). Si ostinò a trascinarci in questa passione, ma le sue gambe facevano tre metri, le mie a malapena uno, stargli dietro mi era impossibile. Mamma, furbissima, aveva sempre da cucire o da cucinare: di arrampicarsi tra i boschi non ci pensava proprio.

Sì, se la Via Firenze apriva in due i nostri paesi come fossero il Mar Rosso, allora lui era un novello Mosè che a passi lunghi e ben distesi andava in bottega e ai matrimoni. Anche su e giù tra i monti, ma lì solo Stefano riusciva a seguirlo. La Terra Promessa per me era leggere, per Stefano camminare con babbo e arrampicarsi sui ciliegi e per mamma chiudere i cappelletti.

16 pensieri su “Pietro ci maritiamo, ce lo fate il servizio fotografico?”

  1. Cara Daniela,
    è così luminosa e nitida l’immagine di Pietro, orologiaio e fotografo, che sembra di vederlo.
    È un ritratto pieno di amore, delicato e vero.
    Bello!

  2. Ciao Daniela,
    bellissimo racconto e buffa la storia degli sposi.
    Mi hai fatto sorridere, anch’io l’ho visto aggrottare la fronte e sentito bisbigliare opporcaboia.
    Brava!!!

  3. Stavolta mi hai fatto commuovere. Mi hai fatto rivedere il tuo babbo a cui sono molto affezionata . Lo hai descritto divinamente bene

  4. Daniela, che belle le cose che hai scritto.
    In un attimo ho rivisto gli album pieni di foto custoditi da mamma, dentro c’è la storia della nostra famiglia raccontata dagli scatti di Pietro.
    Questa volta il “ritratto” glielo hai fatto tu, con la penna e sei stata molto brava e commovente.

  5. Anche mia nonna era di Castellina e quando c’era da scegliere un regalino in oro si andava da Pietro!! Mia nonna per quelli di Castellina era “Teresina de pret ” perché era stata allevata dallo zio parroco di Poggiale.

  6. Mi fa sorridere tuo babbo fisicamente ricorda il mio con le gambe lunghe e il passo svelto che ho ereditato, solo il passo però

  7. Cara Daniela, come mi avevi consentito di fare, ho stralciato alcuni capoversi dai tuoi articoli su tuo padre e li ho pubblicati sul mio sito http://www.raccontisemplici.it nella pagina ” A Fognano”. Spero di non aver sbagliato il tuo sito. Se fosse così, avvisami per favore.
    Ciao.
    Carla (Ciani)

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