Sara, se proprio insisti, stasera puoi venire con me

Dunque sono stata operata a un ginocchio e ho camminato per un bel po’ con la stampella, non guidavo e avevo sempre bisogno di qualcuno che mi scarrozzasse su e giù.

È successo che un pomeriggio sul tardi Federica mi porta a fare un saluto a Patricia ma poi devo anche andare in ospedale da babbo, Fede ha altri giri da fare e mi passa a Sara. Sara è ferrista nella sala operatoria all’ospedale Pierantoni (al Pierantonio come lo chiamano certi forlivesi dell’età del mio babbo: “Signorina ci ha mica un posto al Pierantonio?” chiedevano quando lavoravo allo sportello del Cup). Ricordiamoci della Sara ferrista perché poi più avanti ci serve.

Insomma arriviamo dal mio babbo che è a Villa Serena, io sto con lui che cena, Sara si siede e aspetta. Ma mentre tengo compagnia a babbo il suo vicino di letto inizia a lamentarsi che ha male da qualche parte e Sara si alza, gli va vicino a fare le domande che fanno gli infermieri, dove ha male, cosa si sente, insistendo finché l’agitazione del vicino di letto diventa la sua. Il problema è il catetere e da come Sara si preoccupa sembra che il vicino di letto sia il suo babbo o che il catetere ce l’abbia lei. Fatto sta che suona il campanello per chiamare l’infermiera che non arriva e allora esce a cercarla lasciando il vicino di letto e il mio babbo privi dello spettacolo che dava.

Torna subito scandalizzata: “Non c’è nessuno!”. Cerco di obiettare che è piuttosto impossibile, erano in tre quando siamo arrivate, non possono essere sparite, siamo in un reparto di lungodegenza mica al mare il giorno di Ferragosto. Ma Sara è superconvinta e risuona il campanello e intanto conforta il vicino di letto che si sente molto gratificato da tante attenzioni ma dura poco perché Sara, agguerrita come Dio nel giorno di Sodoma e Gomorra, esce di nuovo a caccia di personale per poi tornare a mani vuote. Intanto babbo ha finito di cenare e con tanto scompiglio gli è venuto sonno (quando il gioco si fa duro lui si mette a dormire, che se la sbrighino gli altri) e si addormenta proprio mentre sentiamo la voce di un’infermiera in corridoio.

Sara si precipita fuori e, a questo punto, anch’io, e troviamo una coppia giovane, lei avrà venticinque anni, lui anche, sudati, in pantaloncini e maglietta, li diresti usciti da una partita di pallavolo. Il ragazzo si è slogato una spalla, cerca qualcuno che gliela rimetta a posto, l’infermiera può solo dirgli che deve andare al pronto soccorso del Pierantoni (Pierantonio per gli amici). Quindi Sara, che è una donna pratica anche se non sembra, si accaparra l’infermiera e la trascina dal vicino di letto mentre io, stampellata, faccio due domande alla coppia che risulta essere di Tredozio, quindi non sa dov’è il Pierantoni, il ragazzo sta veramente male, è pallido e potrebbe essere mio figlio.

Commossa gli dico: “Vi portiamo noi” e torno in camera, zoppicando acciuffo Sara che sta facendo la vice infermiera, la imploro di lasciare perdere il vicino di letto che potrebbe essere il suo babbo ma non lo è e soprattutto adesso si trova in buone mani, e la supplico di muoversi per aiutare il ragazzo che potrebbe essere mio figlio ma non lo è però ha bisogno.

In corridoio ce la devo trascinare e lì è chiaro che Sara vuole liberarsene alla svelta perché spiega veloce la strada ai ragazzi e stop, si capisce, si è fatto proprio tardi e le è venuto in mente che ha altro da fare oltre a soccorrere tutti i derelitti che stasera sembra non finiscano più. Ma il ragazzo sta malissimo ormai sviene dal dolore e io sono stata operata trenta giorni fa quindi ho ancora molto presente il male che quando è vero va al cervello, perciò sono irremovibile e la convinco ad accompagnare anche loro.

Usciamo dal reparto: davanti io con la stampella e il ragazzo che si tiene con una mano il braccio, le altre due dietro, chi ci incontra deve indovinare chi accompagna chi. Sara, in quanto ferrista e al Pierantonio, sa le scorciatoie perciò fa strada e così arriviamo in pochi minuti proprio davanti all’ingresso. Io e lui entriamo mentre le altre parcheggiano, e l’infermiera del pronto soccorso ha un attimo di incertezza nel capire quale dei due deve soccorrere ma poi il mio figlio adottivo dice spalla slogata e lei si trasforma in un mostro di velocità, con una mano apre la porta della zona riservata alle urgenze e con l’altra ha già agguantato una sedia. Alè, è fatta. Arriva anche la ragazza, le do’ due bottigliette d’acqua prese dal comodino del mio babbo che tanto lui non vuole bere e gli fanno le flebo, lei ringrazia commossa per l’aiuto, corre dal suo amore e io risalgo con Sara che sta dicendo al telefono la frase valida per tutti i figli: sono qui arrivo.

E mentre a rotta di collo mi porta a casa ridiamo felici, ma felici, che avventura stasera, che forte Sara che sei stata a incaponirti con il vicino di letto, che forte io a insistere per quei ragazzi, e quando mi lascia davanti a casa dice: “Quando hai bisogno per il tuo babbo chiamami che vengo proprio volentieri”.

Ecco, ho ancora presente come ci scoppiava il cuore dalla contentezza, ma cos’è questo cuore che diventa così felice quando si aiuta qualcuno? Insomma Sara, adesso non ho più la stampella, guido meglio di te, ma se vuoi, se proprio insisti, stasera puoi venire con me a Villa Serena dal mio babbo. Il suo vicino di letto è sempre lo stesso e ti aspetta.

10 pensieri su “Sara, se proprio insisti, stasera puoi venire con me”

  1. Sembra di essere li, con Sara e Daniela, a vivere quel tempo fatto di frenesia, impazienza e di assenza ma vuoi aiutare subito l’altro come uno dei tuoi cari e subito è la parola chiave, come se nn ci fosse un domani.
    L’estraneo diventa, per un attimo, un tuo parente, una persona di famiglia da aiutare, da soccorrere e quando si riesce nell’intento la soddisfazione è grande, grande!
    👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏

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