Le mani che spinsero il foglio verso quelle dell’impiegata allo sportello erano giovani, sottili, abbronzate, senza anelli e tremavano leggermente. I polsi delicati proseguivano nelle braccia lasciate nude dalla canottiera a coste verde militare, le spalle appena lucide di sudore, e sul collo si appiccicavano due ciocche di capelli scuri sfuggite dal fermaglio o elastico che raccoglieva il resto dei capelli dietro la nuca. «Devo cambiare il pediatra alla bambina». Anche la voce tremava leggermente, come le mani, anzi, era come se tutta lei tremasse leggermente. Si irrigidì quando l’impiegata alzò gli occhi, tenendosi pronta a sostenerne lo sguardo di là dal vetro.
Era talmente vero il suo dolore che l’impiegata ne fu affascinata. Dio del cielo, quella pelle luminosa era già una bellezza incredibile al suo sportello, ma tutto quel dolore vero! Non lo poteva nemmeno immaginare fino a poche ore prima, quando aveva spento la sveglia, alle sei, e avrebbe preferito qualunque cosa fuorché dover mettere i piedi giù dal letto e andare in via Oberdan a smaltire la fila degli utenti che arrancavano al suo sportello. Chiedevano cose insulse e anche lei finiva per sentirsi insulsa come le loro richieste: voglio cambiare la prenotazione, un giorno prima, no, un giorno dopo. Voglio cambiare medico. Pediatra. Ma quel dolore vero la riscosse. «Stella, che c’è?» chiese alla donna e mentre parlava si rese conto inorridita di averla chiamata come chiamava sua figlia quando ancora abitavano insieme. Non era certa che fosse piacevole sentirsi chiamare stella da una sconosciuta. Non era nemmeno sicura che piacesse a sua figlia.
La giovane scosse la testa, altre ciocche sfuggirono da dietro la nuca e così le lacrime uscirono, di qua e di là dal viso, spiaccicandosi sul vetro, e deglutì, ma altre lacrime continuarono a spruzzare dagli occhi scuri. Non smetteva di piangere davanti alla cinquantenne reverente. Per sottrarsi a quello sguardo infilò il viso quasi dentro la borsa e rimase così per un po’ fingendo di cercare qualcosa che non trovava.
Non vedendo più il suo volto l’impiegata si allarmò. Prese rapida un pacchetto di fazzoletti di carta, ne estrasse uno e glielo porse. «Tieni stella» le disse, odiandosi perché continuava a chiamarla così e anche perché le aveva dato del tu. Pensò alla propria figlia, Emma, che un tempo si fermava a raccontarle della scuola, degli amici, luminosa come la pelle della giovane disperata. La donna prese il fazzoletto dalle sue mani e lei prese il modulo. Avrebbe voluto abbracciarla, dirle: coraggio. Altra gente affranta era arrivata al suo sportello, malati cui aveva passato da sotto il vetro santini della Madonna del Fuoco. Non poteva darle il santino, non poteva darle la speranza che aveva perso da che Emma era uscita da casa e dalla sua vita. Si accorse di fidarsi della Madonna solo per le malattie. Non per gli abbandoni, per le fughe d’amore. Perché era chiaro come il sole, quella donna era stata abbandonata dal marito come lei dalla figlia e quando una persona va via non torna nemmeno con un falò di ceri alla Madonna del Fuoco. Assegnò il nuovo pediatra, stampò il tesserino, lo passò da sotto il vetro alla donna che aveva smesso di piangere e non si muoveva. Le chiese sottovoce: «Una malattia?»
La donna fece segno di no con la testa.
Abbassò ancora di più la voce: «La bambina?».
La donna fece segno di no con la testa.
L’impiegata aspettò.
«Mio marito» cedette la giovane. Con le mani tremanti prese il tesserino, si girò raddrizzando la schiena nuda e magra perfetta nella canottiera verde, i muscoli asciugati dalle troppe lacrime, e andò via.
L’impiegata non fece nemmeno la mossa di trattenerla: non aveva più speranza per sé, cosa poteva darle? Si sarebbe accorta subito che mentiva. Spinse il pulsante rosso per chiamare l’utente successivo ma l’immagine della donna in canottiera verde resisteva in un angolo della retina, incancellata. Nel pomeriggio andò a fare la spesa sperando di incontrarla, cucinò immaginandola mentre preparava la cena alla bambina. La sera, a tavola, raccontò dell’incontro. La secondogenita diciassettenne ne restò affascinata, proprio come lei allo sportello: “Non hai guardato dove abitava? E se abitasse qui vicino? E se per caso avesse la Paola Fabbri come noi, di medico?”. Ma non aveva guardato nulla all’infuori di tutto quel dolore vero e di quella pelle luminosa. Prima di addormentarsi la raccomandò a Dio insieme a sé stessa e alle proprie figlie: Santo Cielo muoviti e dacci speranza.
Quando il giorno dopo la sveglia suonò, il primo pensiero fu per la donna dalla canottiera verde. Forse sarebbe tornata e all’idea sentì le piante dei piedi pizzicarle dalla smania di poggiarsi sul pavimento. In cucina preparò il caffè e seguendo l’attesa che le montava in petto alzò la tapparella e guardò fuori.
Era l’alba.
Una luce grigia faceva splendere le nubi che si stendevano ben oltre i tigli sul fiume, qualche centinaio di metri avanti. Mentre guardava il cielo disporsi fu grata di tanta gloria. Se si fossero incontrate ancora le avrebbe detto coraggio, deve esserci per entrambe un finale glorioso come quest’alba.
Non vedeva l’ora di arrivare in Via Oberdan.
Gran bella partenza.
Ti incolla fino alla fine, ti commuove, vorresti essere tu a poter dire alla cinquantenne e alla ragazza dalla canottiera verde “coraggio, ogni giorno ha la sua pena”, ma non sei sola a portarla… e insieme si può fare”!
La bellezza della speranza data dalle cose semplici che spesso dimentichiamo…guardare il cielo nella sua immensità!
Leggendo mi sono sentita come un registra dietro la macchiba da presa… tutto cosi nitido e reale.
Stop!
Buona la prima!
Bellissimo racconto…..emozionante….. rende proprio l’idea di quello che si prova lavorando tutti i giorni a contatto con persone che soffrono…..
Mi sembrava di essere presente… Si sente tutta la forza della vita e il peso del dolore! 👏👏👏
Direi “ uahuuu e … poi ?”
La voglia di sapere come continua…
di sapere se si rincontrano ….
Un’irresistibile voglia di … sapere
Cara Anna, le due donne non si sono più incontrate. l’impiegata, tuttavia, a volte si accorge di cercare tra le persone in fila la donna dalla canottiera verde. continua mentalmente a ripeterle e a ripetersi: coraggio!
Tutto così vero! Non ci sono risposte facili davanti al dolore ma aiutarsi a tenere gli occhi aperti è già il primo passo. Oggi mi alzo più curiosa di vedere cosa mi succederà e i piccoli indizi del finale glorioso. Grazie
Così vero, sincero che commuove… perché vorresti essere guardata come la signora in canottiera verde ed essere capace di guardare come l’impiegata…
Quando le parole lette ti fanno subito vedere delle emozioni vere… ecco allora si può dire che il talento c’é. Complimenti e coltiva questa passione
grazie Marco! spero di continuare a tenere gli occhi spalancati per farmi sorprendere… e scrivere lo stupore che vivo!
rapido, preciso, intenso…un piede giù dal letto e via di corsa in via oberdan a spingere quel bottone che trasforma i numeri in volti, sguardi e tante volte in emozioni
L’ho letto tutto di un fiato… È coinvolgente… Mi sono immedesimata nella donna che lavora allo sportello perché anche io ho a che fare con le persone e a volte mi fermo ad ascoltarle o a immaginare che storie ci sono dietro le persone che stanno davanti a me.. E la Compassione che mostra questa donna è un sentimento ormai raro da trovare…. Complimenti!!!!
Riesci a condire miracolosamente un racconto doloroso . La profondità del pensiero incornicia a meraviglia questo quadro triste mettendolo in una meravigliosa luce.
ciao Glenda lavorare con ‘il pubblico’ é l’occasione per vivere alla riscossa! che bellezza, stai gia vivendo così! un abbraccio
Emozionante, lucido. E tutto quel dolore che improvvisamente diventa anche il mio dolore e il dolore di chiunque legga questo racconto. Ti fa sentire piccola, eppure parte di qualcosa più grande. Grazie Daniela, come sempre le tue parole risvegliano qualcosa dentro di me.
È una scrittura che appassiona , coinvolge , ma c è un inciso nel racconto che mi è sembrato stonato . ” Era talmente vero il suo dolore che l impiegato ne fu affascinato ” , sembrerebbe che ci fosse un dolore più vero di un altro , c è anche un dolore bio ? . Infine il dolore affascina , mi sembra una affermazione pericolosa.
esiste un dolore bio? eccome. un dolore che sa di vaniglia, la lacrima fatta brillare per avere consenso, è la chirurgia estetica dei sentimento. lo vedi in tv, va evitato come la peste bubbonica nei rapporti che, altrimenti, diventano altrettanto finti.
il dolore vero è un’altra cosa. è quello che fa innamorare i missionari e muove l’impiegata che vorrebbe risolverlo. è la chiamata non ad ammirare ma a consolare.
l’impiegata ne fu affascinata…
potevo scrivere si sentì chiamata.
grazie Angela!
Grazie Dany ! Quanta tenerezza mi suscita quella donna dello sportello ! Chi lavora quotidianamente con le persone sa che un incontro può cambiare qualcosa nell’altro e soprattutto può cambiare te stesso !
Appassionante!! Emozionante!! È bello sapere che “di là dal vetro” ci sono persone vere che guardano oltre e fanno il loro lavoro con amore!! Continua a scrivere!!
cara Sabrina sì la vita é piu bella sapendo che si può essere guardate così!
Dopo aver spinto il pulsante rosso, ogni volta, potrebbe arrivare una donna con la canottiera verde oppure l’essere più antipatico del mondo… che però sotto a molti strati potrebbe anche lui avere una canottiera verde…
e questa si chiama speranza!
Leggere queste righe ti fanno in un momento catapultare un passo indietro, e siamo ancora lì, a cercare di risolvere quello che a volte è irrisolvibile!
Bello davvero complimenti!
Quanto amore c’è nella nostra vita… quanto dolore c’è… ma per tutti e per tutto esiste anche la speranza che un giorno ci sarà gloria. Complimenti cara Daniela per il tuo blog. Ti invidio per la voglia che hai tutti i giorni di andare al lavoro per incontrare il mistero
Daniela buongiorno…
Lavorare allo sportello è un valore aggiunto….
i numeri hanno un volto!!!
Il sorriso e una parola di conforto che dai agli utenti ti riempiono la vita e ti fanno sentire unica e ‘utile’.
sì cara Silvia e il lunedì può diventare il più bel giorno della settimana perché si ricomincia… si può ricominciare e ripartire sempre!
È affascinante come questa piccola parte della storia sia così intensa e piena di sentimenti umani: il dolore, è un testo che ti fa pensare
Cara Lucia una piccola parte della grande storia che viviamo… siamo cacciatrici di attimi.
Il racconto mi è piaciuto. Tecnica e “cuore” si sviluppano in parallelo con una tessitura coinvolgente. Il lettore è anche condotto emotivamente verso la tensione e la ricerca di un epilogo e questo è indice di qualità e vivacità del testo.
Nel piacere della lettura del racconto ho avuto il privilegio di avere un valore aggiunto personale che mi ha permesso di accrescere l’apprezzamento dei contenuti. Mentre leggevo silenziosamente il testo mi si materializzava nella mente la voce del narratore (ma anche dell'”impiegata”, sebbene con timbri diversi) che era quella gentile, calma e naturalmente sorridente di Daniela che ho il piacere di conoscere. Suoni, voci e atmosfere che affidiamo ai protagonisti delle nostre letture diventano anch’essi, in modo volontario o involontario protagonisti.
grazie Andrea! che ogni giorno inizi così… a proposito: domani è lunedì e c’è gloria per tutti!
Sembra di essere lì e assistere la scena l’umana pietà questa sconosciuta schiacciata dalla corsa dagli affanni quotidiani che ci isolano l’un l’altro aspetto di leggere qualcos’altro di tuo
Ma sai che hanno iniziato a piacermi i tempi ‘persi’ nelle sale d’attesa dove mi devo per forza fermare. e guardare chi mi sta accanto magari farci due chiacchiere… noi ci siamo conosciute così! via l’isolamento, l’estraneità e avanti la familiarità. grazie Daniela
Ciao Daniela, all’inizio ho dovuto fare uno sforzo per dividere la figura dell’amica (sempre con un sorriso per i colleghi) dalla scrittrice, ma superato questo blocco ho subito apprezzato lo stile e la sensibilità di una persona che ha qualità non comuni nel raccontare la quotidianità dei sentimenti.
Lo stile con cui hai scritto quello che ritengo il tuo inno alla speranza mi ha fatto provare emozioni simili alle storie di grandi maestri delle short story quali Carver e Salinger, così, tanto per scomodare nomi importanti. Alle volte non c’è bisogno di cercare chissà quali autori contemporanei americani tra gli scaffali delle librerie, ma guardare nell’ufficio a fianco. Mi hai fatto scappare pure una lacrima, brava!
Caro Antonio mi dai una gran spinta a scriverne un altro e sento pizzicare le dita… grazie amico